#almeno in Italia c'è un'alternativa
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Chi è che ha preso il covid nel 2024 e proprio nel paese con meno ferie al mondo e senza poter essere in malattia?
Chi è che oggi è andata al lavoro nonostante stesse male da ieri sera per non consumare le ferie e che nel treno stava per svenire e vomitare tanta era la gente ed è dovuta scendere di corsa finendo per tornare a casa e alla fine prendersi le ferie?
#giorno 3 e sto ancora una chiavica#oggi sono dovuta andare in clinica per avere un verdetto e le medicine#tutto per la modica cifra di 25€#altra cosa per cui ci lamentiamo troppo: SSN che non funziona e che ci costringe ad andare dai privati#almeno in Italia c'è un'alternativa#qua il medico di base te lo sogni la notte#ciao da una mezza morta che spera di morire davvero a sto punto#my life in tokyo
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Dieci anni dopo il mio primo tour di TRL
Circa dieci anni fa si chiudeva il mio primo tour come conduttore di TRL su Mtv, un programma che i ragazzini di oggi giustamente ignorano ma che ha invece fatto parte dell’immaginario teen italiano di almeno un paio di generazioni. In questi giorni di grande calore estivo mi sono preso del tempo, con l’aria condizionata accesa, per riordinare un po’ il mio archivio digitale. E’ una cosa che faccio raramente ma che mi piace molto, perché mette a confronto quello che sono oggi con l’idea che avevo di ciò che sarei diventato. Ho ritrovato un po’ di documenti che proprio avevo scordato. Dato che il tempo ha risolto molte questioni, vorrei condividerne uno con voi. Si tratta di una lettera che scrissi a Antonio Campo Dall’Orto - all’epoca AD di Mtv Italia - nel gennaio 2008, quando dopo avermi comunicato la chiusura di Your Noise - il bel programma che conducevo all’epoca - mi proposero di passare a TRL. Per molti sarebbe stata la proposta della vita, per me era fare un grande passo. La confusione era tanta, sentii il bisogno di esorcizzarne un po’ scrivendo. Non ricordo nemmeno se infine la inviai o meno (credo di no), ma poco importa ormai. Qui dentro ci sono tutti i miei 22 anni: tratti di ingenuità evidente alternati a sprazzi di enorme consapevolezza, egotismi che grazie a dio ho perso nel tempo a favore di un equilibrio meno competitivo ma più armonico con il mondo. Tutte cose che mi permettono di dire, con il senno di poi, che fare TRL fu per molti versi complicato e straniante, ma davvero intenso e molto educativo e formativo.
(TRL Reggio Calabria, Luglio 2008, backstage)
Ciao Antonio,
spero tu abbia passato delle buone vacanze.
Mi avevi chiesto di aggiornarti sulla mia situazione dopo l'incontro con Rossini al quale ha partecipato anche Fiacco. Ti scrivo per condividere con te, esattamente un anno dopo essere entrato in Mtv, quello che ho visto e capito di questa grande famiglia. E quello che sento per il futuro.
In questi mesi ho maturato una preparazione, una sensibilità e un'esperienza di cui devo gran parte a Mtv e alle persone che vi lavorano. Ritengo Mtv una cosa importante, e sono una persona che si dedica alle cose importanti con abnegazione. Sono dunque molto contento che questo lavoro sia stato capito e apprezzato dalla rete, che mi ha comunicato per via ufficiale di essere una persona sulla quale investire e lavorare. Frasi come “non c'era nessuno che ci convinceva come te da quando abbiamo preso Nongio” hanno per me un significato speciale.
Credo d'altronde di aver portato a Mtv una ventata di aria fresca, qualcosa di urgente che cercavo/trovavo nel canale anche da spettatore, e sono contento di aver avuto la possibilità di esprimere questa caratteristica importante della mia personalità.
Il discorso, ora, è come crescere ancora assieme.
La rete mi ha proposto di condurre TRL. Un programma che da giovanissimo ho guardato, a cui oggi mi relaziono con rispetto e stima, ma che non rientra proprio nel mio percorso. Il fatto che mi si proponga lo show più visto del canale mi lusinga. Ma non c'è solo questo. L'idea di affidare a me lo show è principalmente incentrata su tre fattori che si incontrano: 1) Cattelan non ne vuole più sapere; 2) Your Noise è destinato a chiudersi; 3) la rete – anche secondo le parole di Rossini - vuole affidarmi qualcosa di forte e non più cose “tiepide”.
Io penso che una persona che fa questo mestiere a Mtv debba soltanto essere contenta di avere una tale possibilità su questo canale, ma penso anche che una persona come me che ha fatto del proprio percorso un punto di forza debba necessariamente porsi delle domande. Quanto posso portare di mio dentro un contenitore così forte e così rodato come TRL? Dal punto di vista dell'empatia con il pubblico, penso di aver capito di avere una capacità che prima avevo annusato solo quando ero rappresentante di istituto durante le assemblee scolastiche. L'altro giorno ero al Palladium a Roma a presentare un contest di Fazi Editore legato alla saga della Meyer (in America ha superato Harry Potter) e mi sono divertito alla grande, lo show è venuto fuori cazzutissimo (1′30 di improvvisazione), ho buttato in mezzo tutti. Dal punto di vista della professionalità e del ritmo, la visibilità di TRL ti impone necessariamente una crescita che non può che farmi bene. Devo migliorare parecchio. D'altro canto, pensavo di poter rappresentare un'alternativa e uno squarcio di futuro per questa rete; questa scelta in qualche modo cambia le cose.
In questi mesi ho ricevuto i complimenti di Fabri Fibra, Jovanotti; Tiziano Ferro mi ha detto: “sei il futuro di Mtv”. Non sono mondano, spero non sia piaggieria. Se penso a Mtv, dico che è dieci anni che TRL va avanti come un carrarmato e ancora non siamo riusciti a costruire qualcosa di altrettanto forte e nuovo. Forse non ce n'è bisogno, Striscia d'altronde va avanti da 20 anni e non mi pare soffra di salute. Però io penso che dobbiamo lavorare sul lungo periodo e non sulle necessità dell'oggi. I Clash cantavano “no Elvis, Beatles e Rolling Stone”. L'Italia ha bisogno di innovazione e cose forti. Credo che fare di Carlo Pastore il “nuovo Maccarini” o il “nuovo Cattelan” non sia proprio la cosa giusta.
Come mi hai consigliato, ho chiesto alla riunione di dirmi cosa Mtv aveva in mente. La risposta, quella l'ho intuita, è questa: se fai TRL ti becchi un sacco di visibilità e ci togli un sacco di problemi. Apprezzo. Però possiamo fare di più, no? Quello che mi pare manchi in questo momento sia la percezione completa di un percorso. Se da un lato è chiaro che una televisione come Mtv debba porsi l'obiettivo di arrivare competitiva all'incontro/scontro con i dati d'ascolto (anche se credo che sulle date sarebbe opportuna una maggiore chiarezza: Our Noise cambiò lo scorso marzo perchè entro settembre si sarebbe entrati nel rilevamento dati... non mi pare sia successo né mi pare succederà nel 2008), dall'altro non è assolutamente chiaro *come* si debba arrivare a quel punto. Mtv è in questo momento un agglomerato di reality americani, serial TV, cartoons, show, videoclip musicali e in minima parte show musicali. E' giusto che non possiamo più permetterci la nicchia, è sbagliato perdere l'identità. Mtv è stata forte nel costruire alternative che generassero in maniera nuova, fresca, striking, un senso comunque di aspirazione fra i ragazzi. Quest'anno il palinsesto di Mtv è molto bello. Kebab For Breakfast, bellissima serie. Skins, spaccherà. Però sappiamo tutti che sono gli OC e i Grey's Anatomy che spostano il grosso, e quelli costano parecchio. E mentre si investe sui grandi nomi - che automaticamente, necessariamente e giustamente attraggono a sé tutte le risorse (economiche ma non solo) - quello che caratterizzava Mtv (e che Mtv produceva) viene a diventare meno prioritario.
Non ti nego di aver colto segnali di disorientamento all'interno dell'azienda in questi ultimi periodi, soprattutto fra i lavoratori semplici, quelli che attraversano l'Arabia ogni giorno per arrivare in Via Belli; segnali che a mio avviso vengono enfatizzati per un cambiamento strutturale/logistico sicuramente importante ma anche ancora poco lucido, ma che non possono essere trascurati. La linea editoriale è poco percettibile. Come andiamo incontro al videoclip che domina ormai su Internet e alla televisione satellitare che offre quello che si cerca? Se è solo con Ambra, mi spiace ma non ho capito.
Perdona la mail un po' lunga, i temi si accavallano. Purtroppo non ho mai occasione di parlare con te; e se c'è un motivo per cui lavoro in questa azienda è perché ne condivido i valori e perché tu ne sei amministratore delegato.
Grazie per l'ascolto,
buon lavoro e a presto!
Carlo
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Posto che né il centrodestra né il M5S raggiungeranno la maggioranza c'è un unico scenario possibile dopo il 4 marzo; il solito governo di "scòpo", ma volendo anche di "scópo", che a Silvio piace di più. Il PD prenderà una bella labbrata ma il suo 23% lo raccatterà comunque e grazie alle tre liste farlocche in coalizione (Civica popolare, Insieme e +Europa), tutte sopra l'1% altrimenti i voti andrebbero persi ma anche tutte sotto il 3% in modo da regalarli a Renzi, si dovrebbe aggiungere un 4-5% in più. Dunque avremo un PD con circa il 27-28% che troverà il suo alleato naturale (anche se faranno finta di no per qualche giorno) in Forza Italia, che apportando il suo 15% dovrebbe garantire la governabilità, la stabilità e ir budello di su' mà. La cosa ganza - si fa per dire - è che il Berlenzi (o il Renzoni, vedete voi) me lo si vuol spacciare perfino come auspicabile a fronte di un'alternativa ancor più terrificante, tipo una coalizione di euroscettici Lega e FDI+M5S. E magari avete anche ragione, però almeno siate sinceri: state votando per un governo con Berlusconi, perché solo con lui potete farlo. Non raccontatevi cazzate solo perché la croce la metterete su Renzi (o peggio ancora sulla Lorenzin o la Bonino): votando il cosìddetto "centrosinistra" è Berlusconi ciò che avrete, e lo sapete benissimo. Anzi, parliamoci chiaro: lo sperate proprio perché rispetto a leghisti e grillini il vostro "meno peggio" ora è diventato lui. Ecco, io invece no. Io Berlusconi proprio no. Senza complimenti, fate come se avessi accettato.
Ettore Ferrini su fb
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Leonardo, la cura "Profumo" ha funzionato: utile in aumento dell'83 per cento
Il gruppo guidato da Profumo ha chiuso con un utile in aumento dell’83 per cento rispetto all’anno precedente, a quota 510 milioni di euro con una crescita del 4,3%, attestandosi a quota 12,24 miliardi di euro, grazie soprattutto all’andamento dell’Elettronica, Difesa e Sistemi di Sicurezza e agli Elicotteri. “Il 2018 ha rappresentato un importante passo in avanti nell’esecuzione del Piano Industriale: abbiamo intrapreso le azioni necessarie e mantenuto le promesse; abbiamo raggiunto i target e superato la Guidance – ha commentato l’amministratore delegato Alessandro Profumo. Continuiamo ad essere fiduciosi sul raggiungimento di tutti gli obiettivi del piano industriale: crescita della top line insieme al rigoroso controllo dei costi, per una redditività di Gruppo a doppia cifra ed una importante generazione di cassa dal 2020. Nei prossimi anni vogliamo accelerare ulteriormente il percorso avviato per la crescita sostenibile”. Fabio Tamburini su Il Sole24Ore ha intervistato l’amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo. Una nuova Europa è possibile? Sono un inguaribile ottimista e continuo a ritenere la sfida europea fondamentale. Certo occorrono dei cambiamenti ma, alla fine, la strada verrà trovata e nella difesa permetterà di costruire un percorso razionale che consentirà di spendere nel modo migliore i soldi dei cittadini. Le alleanze con francesi, tedeschi e inglesi rischiano di saltare? È vero il contrario e lo confermano due esempi. Il programma anglo-italiano Tempest e quello franco-tedesco, entrambi nei caccia, auspico possano convergere. Ugualmente, nei carri armati, Leonardo ha le carte in regola per affiancarsi al progetto avviato da Germania e Francia. I progetti con la Cina per un nuovo aereo mettono in discussione il rapporto storico con Boeing? Non vedo problemi particolari perché il dialogo con gli americani è continuo. Nel caso le buone relazioni con Boeing sono la priorità. Il portafoglio ordini è in linea con il piano? A inizio anno avevamo dato una previsione per il 2018 di 12,5-13 miliardi di euro. Poi, a luglio, l'abbiamo portata a 14-14,5 miliardi. Oggi il consuntivo è stato di 15,1 miliardi. La struttura dedicata costruita per rilanciare il mercato internazionale ha lavorato bene. C'è chi sostiene che numeri traggono beneficio da poche, grandi commesse in Qatar, Kuwait, Stati Uniti. È così? Tutte le grandi aziende vivono anche di grandi ordini, che sono motivo di soddisfazione e orgoglio. I contratti con il Qatar, in particolare, valgono 3 miliardi e gli Stati Uniti rappresentano il 28% del giro d'affari complessivo, ottenuto però sommando operazioni piuttosto frazionate. State partecipando a gare per altre commesse d'impatto così elevato? Replicare questi contratti è difficile. Negli elicotteri l'ordine del Qatar è stato il più elevato nella storia aziendale. Le tensioni in Europa vi stanno creando difficoltà? Tutte sono ampiamente superabili. Nella mia vita manageriale precedente, in Unicredit, ho sempre puntato su operazioni transnazionali. E anche qui lo sto facendo. Tra i vari Paesi ci sono visioni diverse ma, alla fine, è interesse comune costruire una strategia unica. Nella difesa è condizione necessaria per ottenere risultati migliori e competitivi nel mondo. L'asse tra Parigi e Berlino sulla difesa integrata europea rischia di isolare l'Italia e svantaggiare anche voi? Allo stato no anche se occorre che l'Italia abbia politiche attive sia con Francia e Germania, sia con Regno Unito e Spagna. Non solo. Vanno costruiti sistemi di alleanza con i Paesi del centro Europa. Francia e Germania stanno studiando il nuovo carro armato europeo. Leonardo è tagliata fuori? Non è stato ancora deciso a chi affidare il progetto, un progetto importante. Noi abbiamo competenza nell'elettronica e nei carri armati con Oto Melara. Vedremo. Nel Regno Unito state partecipando ai lavori per un nuovo caccia inglese, il Tempest. Contemporaneamente francesi e tedeschi hanno un'alternativa: l'Fcas. Cosa farà Leonardo? Come potrà contare considerando che lo Stato italiano non ha previsto alcun fondo per il progetto? Tempest verrà aperto alla partecipazione di altri Paesi. Auspico la convergenza con francesi e tedeschi. La trasferta negli Stati Uniti del sottosegretario alla presidenza del consiglio, Giancarlo Giorgetti, è stato utile a Leonardo? Si, nel mercato della difesa è decisivo dare visibilità e supporto al sistema Paese. Dal canto nostro Leonardo è uno strumento importante di politica internazionale. L'americana Drs si è confermata difficile da integrare nel gruppo. Avete deciso di metterla in vendita? Tutt'altro. Drs ci permette di partecipare ai programmi classificati, per cui occorre dare garanzie particolari. In un mercato, quello degli Stati Uniti, che per noi rappresenta il 28 per cento del fatturato complessivo. L'azienda è stata interamente ristrutturata e oggi va verso una redditività a due cifre. Non so se è stata in dismissione. Dopo il mio arrivo sicuramente no perché ci ho creduto fin dall'inizio. Gli elicotteri sono un punto di forza del gruppo. Pensate a concentrazioni con altri oppure ad acquisizioni? Già oggi siamo leader negli elicotteri per utilizzi civili. Continueremo a crescere ma per linee interne, finanziando progetti che possono dare soddisfazioni adeguate. Un esempio è il modello Aw609, un oggetto fantastico. Il decollo resta verticale ma viaggia in orizzontale come un aereo, al di sopra delle nuvole, a velocità doppia degli elicotteri. In futuro gli elicotteri potranno incrociarsi con i droni? Assolutamente sì. Già oggi disponiamo di due modelli a guida remota. In più la divisione elicotteri sta cominciando a ragionare su un altro progetto affascinante: l'automobile a decollo verticale. I droni sono il futuro. E Leonardo partecipa al programma europeo con Germania, Francia, Spagna. Verrà coinvolta anche Piaggio aerospace che ha un progetto importante e di cui Leonardo è creditore per circa 115 milioni? Il credito è una partita totalmente separata. Quanto pesa sul bilancio del gruppo? Nulla, perché il credito è stato totalmente svalutato. A noi, peraltro, di Piaggio aerospace interessa la parte manutenzione motori, che occupa il 40% circa dei dipendenti ed è fondamentale per l'aeronautica militare italiana. I rapporti con Boeing sono molto forti, soprattutto negli elicotteri. Prevede ripercussioni dall'incidente in Etiopia? Nessuna. Boeing è e resterà partner fondamentale. È un'azienda da cui abbiamo imparato moltissimo. L'ultimo esempio è il programma che ha messo a punto per migliorare la qualità dei fornitori. Noi, classificati da loro come il fornitore migliore, stiamo cercando di replicarlo con i nostri fornitori. Con quali risultati? Significativi, anche per quanto riguarda i risparmi sui costi. Quanto avete tagliato finora? Almeno 200 milioni e senza strizzare i fornitori, ma imparando insieme a lavorare meglio. Nell'aeronautica commerciale Leonardo resterà legata più a Boeing che all'Airbus? Siamo uno dei pochi produttori europei che lavorano con entrambi e continueremo a farlo. Aggiungo che, non ponendo limiti alla Provvidenza, sono convinto che arriveremo perfino a migliorare le posizioni. I vostri progetti in Cina per il nuovo aereo di Comac(Cer-929) non risultano particolarmente graditi agli americani. Con quali conseguenze? Escludo ogni conflittualità con Boeing che per noi resta partner chiave ma, per la verità, non vedo problemi particolari. La sconfitta nella gara americana per gli aerei addestratori riduce le prospettive per l'M-346? Gli ordini per questo velivolo scarseggiano? Non abbiamo vinto, ma ottenuto soddisfazioni adeguate che ci lasciano ben sperare. La gara prevedeva due componenti: la qualità e il prezzo. Sul primo fronte ci siamo piazzati allo stesso livello di Boeing. Poi, sotto certi valori non potevamo andare perché avrebbe significato generare perdite significative. L'M-346 è un velivolo da addestramento per piloti militari eccellente e ci stiamo organizzando, insieme all'aeronautica militare italiana, una delle migliori al mondo, per vendere anche servizi di addestramento come Ifts (International flight training school), in Italia. Un progetto in cui crediamo molto. Sono possibili, e a quali condizioni, accordi più stretti con Fincantieri? Fincantieri, che ha fatto un percorso eccezionale di crescita, produce navi. Noi facciamo un lavoro diverso. Grazie all'accordo su Orizzonti sistemi navali abbiamo compiuto un grandissimo passo avanti, ma resteremo due aziende separate che si muovono in collaborazione. Come sta procedendo la trattativa con la francese Naval per una joint venture nei siluri leggeri? Il percorso è molto chiaro anche se, in questo momento, siamo in attesa degli esiti del confronto interno al mondo francese sulle scelte nella sensoristica. Poi vedremo. Conferma che resterete fuori dal salvataggio Alitalia? Non vedo alcun significato strategico che giustifichi un eventuale investimento. Le piace di più la produzione del gruppo nella difesa oppure nel civile? Le due attività sono inscindibili. Sia perché le tecnologie del militare sono decisive per l'evoluzione dell'industria civile, sia perché la redditività della difesa serve a finanziare il resto. Leonardo è molto diversificata. Sono previste altre razionalizzazioni? Il portafoglio, ricco e ben strutturato, ha come focus tre attività: elicotteri, velivoli, elettronica per la difesa. Continueremo così. Certo, nel tempo, dovremo capire come rafforzarci ancora di più. Le altre aziende mondiali del settore sono almeno il doppio di Leonardo. Come pensa di affrontare la concorrenza di Airbus, Lockheed Martin, Thales? Il fattore dimensione è fondamentale nei singoli settori, non considerando la holding. E nei singoli settori abbiamo leadership mondiali. Dalla maxi privatizzazione di Finmeccanica nel giugno 2000 il titolo ha perso oltre il 68 per cento. Quando lei ha assunto l'incarico nel maggio 2017 quotava 15,52 euro mentre oggi è a 8,648 euro, con una perdita superiore al 40 per cento. Gli azionisti hanno qualche speranza? Ho comprato 100 mila azioni a 9,73 euro e sono assolutamente convinto di avere fatto un buon investimento. Stiamo lavorando per fare quanto il mercato si aspetta: evitare sorprese negative e generare un significatívo ammontare di cassa. Io ci credo. Il management del gruppo è cambiato profondamente. Rifarebbe uno spoiling system così radicale? Penso di avere fatto il bene degli azionisti valorizzando dirigenti interni ed esterni al gruppo come Bill Lynn (alla guida di Leonardo Drs), Gian Piero Cutillo (elicotteri), Valerio Cioffi (velivoli). Lorenzo Mariani (area commerciale), Raffaella Luglini (relazioni esterne), Simonetta Iarlori (risorse umane). Tutti, tranne una, non li conoscevo. In alcuni casi hanno pensato che fossi un po' matto, ma i risultati mi stanno dando ragione. Lei, appena nominato, ha giudicato positivo lo smantellamento delle società prodotto deciso dal predecessore e la trasformazione in semplici divisioni della holding. È ancora della stessa opinione? Assolutamente sì perché mettere a fattor comune funzioni di supporto ha permesso di dare valore aggiunto alle diverse attività per fare meglio. Oggi, dopo avere dato sostanza alla holding, abbiamo creato una grande matrice concentrando l'area commerciale, rapporto con i fornitori, comunicazione, governance. Il vertice del gruppo è cambiato molto negli ultimi anni. Non si rischia l'instabilità? Una struttura manageriale deve muoversi con orizzonte a lungo termine ed è esattamente quello che stiamo facendo. Qui lavoriamo pensando Leonardo tra gli anni. Tocca ad altri soggetti decidere le nomine al vertice. Le scelte vengono fatte dagli azionisti. Uno dei principali competitor, la francese Thales, ha centrato la propria strategia sul digitale. Condivide tale scelta? Lo farà anche Leonardo? Tutta la nostra attività è centrata sul digitale. Forse non pubblicizziamo programmi specifici, ma il digitale è la base di ogni iniziativa. A quanto pare la cura Profumo ha fatto davvero bene a Leonardo. L’auspicio è, però, che a livello europeo si realizzino davvero progetti inclusivi per poter competere con i colossi mondiali. La strada è quella della partnership italo-francese Fincantieri-Stx France. La tendenza di lavorare su progetti comuni ma distanti come il Fcas e il Tempest non sono incoraggianti per far germogliare l’idea di una comune politica industriale di Difesa Europea. Read the full article
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DI MALE (M5s) IN PEGGIO (i sinistrati) di Leonardo Mazzei
[ 20 settembre 2017 ]
Se M5S ha deciso di trasfigurare la sua originaria carica anti-sistemica nel volto senza idee di Di Maio l'insipido, qual è la proposta della sinistra sinistrata?
Piemme si è occupato ieri l'altro della farsa pentastellata, quella che ci ha portato dalla "democrazia della rete" alle primarie senza avversari. Quelle fatte solo per incoronare Di Maio l'insipido. Non solo una scelta neo-democristiana, ma pure una scelta perdente. Ieri sera, un ex M5S - una categoria in costante aumento - mi ha detto: «secondo me i vertici del movimento hanno deciso di perdere». Non sono sicuro che questa sia la diagnosi corretta, ma la prognosi mi pare certa.
Aggettivare come "bulgara" la farsesca votazione dei Cinque Stelle è ormai un luogo comune di cui abusano tutti, i piddini in primo luogo. E, tuttavia, come dargli torto in questo caso, vista la figuraccia che i pentastellati si sono confezionati da soli? E poi, come non vedere che è tutto il loro sistema di selezione dei candidati che fa acqua da tutte le parti? Ieri è arrivata la notiziadella "sospensione" delle primarie siciliane di M5S da parte del tribunale di Palermo. Sia chiaro, chi scrive detesta e condanna questa continua intromissione della magistratura in vicende interne di partiti e movimenti, ma non è forse sempre stato M5S a benedire e santificare ogni rutto tribunalizio? Bene, chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Astrattamente parlando, l'incipiente crisi pentastellata dovrebbe aprire grandi praterie a sinistra. Ma così non è e così non sarà. Ce lo dicono con chiarezza - ma sinceramente non avevamo dubbi - le ultime news provenienti dalla sinistra sinistrata.
Ma che cos'è esattamente la sinistra sinistrata? Non è semplicemente la sinistra che perde, che questo di per sé non è una colpa. E' invece la sinistra che non può vincere, visto che ha scelto di separarsi deliberatamente dal popolo, dal comune sentire degli strati più profondi della società, quelli più colpiti dalla crisi e dalla globalizzazione. E' una sinistra che ha molti slogan ma nessuna idea; tanti "valori" ma nessun programma.
Naturalmente in questa sinistra sinistrata c'è un po' di tutto: persone oneste quanto confusionarie, come maneggioni e saltimbanchi sempre pronti all'ennesima giravolta. Politicamente, essa si può suddividere all'ingrosso in due categorie: gli ultrasinistri e gli ultraopportunisti. I primi sono ormai al livello della setta, dei secondi ci occuperemo nelle prossime righe.
Dice una diffusa narrativa, ma ancor più ce lo dicono i fatti, che esista una sorta di catena che tiene in qualche modo legati fra loro il Pd e le sinistre che si vorrebbero "alternative" e/o "radicali". Almeno un tempo le cose erano chiare. Esisteva un cosiddetto centrosinistra che inglobava anche due liste falcemartellate (il Prc ed Il Pdci). Ma adesso? Adesso di acqua ne è passata sotto i ponti, e solo a dire "Pd" si prova una certa vergogna. Dunque la catena è più nascosta, ma pur sempre esistente.
Ma quanti e quali sono gli anelli di questa catena? Ce lo dicono assai chiaramente le cronache degli ultimi giorni.
Intanto elenchiamo gli anelli. Andando dal Pd verso sinistra, essi sono: Campo Progressista, Mdp, Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista.
La vocazione di Campo Progressista, a partire dal suo leader Pisapia, è fin troppo chiara. Costui, messo in pista dai soliti poteri forti (sfacciata la sponsorizzazione de la Repubblica), ha sempre detto di voler fare da spalla a Renzi. Del resto nelle urne del 4 dicembre egli depose un gigantesco Sì, e tanto poteva bastare. In ogni caso, non più tardi di lunedì, per l'ex primo cittadino di Milano ha parlato l'attuale sindaco di Cagliari Zedda, il quale ha sentenziato che «Non può esistere il centrosinistra senza Pd». E come dargli torto, se l'obiettivo è quello di rifare il centrosinistra?
Quale sia l'offerta politica di Campo Progressista ce lo dice del resto il suo stesso sito, che è utile vistare per rendersi conto - oltre che dell'inesistente "aggiornamento" delle informazioni - dell'assoluta mancanza di contenuti. Ad ogni modo due sono le notizie che campeggiano nella home. La prima (8 settembre), che vorrebbe essere una minaccia: «Pisapia: "Basta con il fuoco amico o farò un passo indietro"». La seconda, che rimane pur sempre una simpatica confessione, è la seguente: «Pisapia: "Il Pd non è il mio nemico. L'abbraccio a Boschi polemica inutile». Questa frase epocale è del 24 luglio, ma il suo evidente valore storico ha consigliato di lasciarla ben in vista per due mesi...
Che il piccolo anello di Campo Progressista sia ben avvinghiato all'anellone chiamato Pd è cosa talmente ovvia da non dover sprecare altre parole. Se lo facciamo è solo perché Pisapia-il-nulla è stato recentemente riconosciuto come leader dalla stessa congrega dei fuoriusciti dal Pd, denominatasi per ora Mdp. Tra costoro non mancano i mal di pancia, ma visti i magri sondaggi, e considerato che la loro storia politica non ha prodotto leaders ma al massimo solo qualche peones, sembrano non poter fare a meno del volto pacioso quanto nulladicente del Pisapia. Il che spiega già tutto.
Ad ogni modo ci ha pensato il senatore Manconi a precisare che nell'incontro tra Mdp e Campo Progressista, Pisapia ha posto delle condizioni. Tra queste quella decisiva sancisce che: «Il rapporto con il Pd è ineludibile». E qui - non che ci fossero dubbi - anche il secondo anello, rappresentato da Mdp, viene ben fissato alla catena.
E Sinistra Italiana? In realtà costoro sono una certezza. Ha voglia il Fratoianni di sbracciarsi a proclamare l'alternatività al Pd: e chi gli crede? Il suo partitello altro non è che una piccola Sel, altro mostriciattolo che nacque giusto per non uscire da quella strutturale subalternità. Ora, è vero che gli organismi viventi si evolvono, ma il Dna una sua importanza ce l'ha sempre.
A scanso di equivoci c'è comunque la Sicilia. Lì Sinistra Italiana (SI) ha scelto senza se e senza ma l'alleanza con Mdp, operazione che fa da apripista all'inciucio per le elezioni politiche. Chiudiamo con costoro con una piccola nota di colore sempre sulla Sicilia. Siccome unire tante forze solo per provare a raggiungere lo sbarramento del 5% è cosa un po' disdicevole, ecco che la sparano grossa: secondo il sito di SI, il candidato del listone sinistrato Claudio Fava sarebbe al 25%. Boom, boom, diciamo (come si esprimerebbe il correligionario D'Alema) quadruplice boom, visto che per ottenere il loro risultato quel venticinque andrà diviso grosso modo proprio per quattro.
Bene, dopo aver sistemato anche il docile anello di SI, rimane quello di Rifondazione Comunista. I rifondaroli si agitano, ma come al solito non hanno una linea politica degna di questo nome. "Mai più con il Pd", dicono da tempo. Ma questo significa che abbiano una strategia alternativa? Neanche per sogno. Anche in questo caso la Sicilia insegna. Contro certe dichiarazioni di Fava strilla il segretario nazionale Acerbo e strillicchia quello siciliano Cosentino, ma ad oggi non risulta alcun ripensamento sulla scelta di stare tutti uniti, più o meno appassionatamente, nel listone sinistrato.
Certo, alle elezioni del 2018, per il Prc sarà un po' più dura fare da quarto anello di una catena tenuta in mano dal Pd e dai poteri forti, ma ancor più difficile sarà una scelta di rottura e di autonomia politica. Questo per due motivi: primo, perché manca appunto un'autonomia strategica; secondo, perché tale assenza va di pari passo con l'ossessione del rientro in parlamento. Sarà dunque quest'ultimo aspetto a rivelarsi decisivo. Vorrà il listone dei sinistrati uniti accogliere nelle proprie fila, assicurandogli almeno due/tre seggi, anche Rifondazione Comunista? Al momento non lo sappiamo, ma visto che i sondaggi sono alquanto magri per tutti, è probabile che qualche strapuntino venga infine trovato anche per i rifondaroli. E siccome il regista di tutto ciò sarà verosimilmente Massimo D'Alema, che almeno certi conti li sa fare, è probabile che Acerbo e Ferrero saldino il loro quarto anellino della catena.
Dice: e il Brancaccio? E i "mitici", si fa per dire, Falcone e Montanari? Al momento usciti dai radar, e chissà mai se vi rientreranno. Ma se lo faranno sarà solo per controbilanciare, non certo per contrastare, il progetto Pisapia-Mdp.
Ecco qui l'altro chiodo che crocefigge definitivamente le speranze alternativiste del Prc. Essersi messi alla coda del duo di cui sopra è stato il solito errore marchiano di un gruppo dirigente ormai allo sbando.
In conclusione, se di M5S possiamo oggi dire tutto il peggio possibile - e per il sottoscritto la cosa peggiore non è neppure l'incoronazione di Di Maio l'insipido (tanto a Palazzo Chigi non ci andrà di certo), quanto la rinuncia al combattimento a viso aperto di chi pure non è d'accordo con lui - sui sinistrati dobbiamo dire anche qualcosa di più. La loro inutilità politica dal punto di vista del popolo lavoratore è manifesta da tempo, ma costoro non si risparmiano davvero per ricordarcela ad ogni mossa.
Cosa resta da fare allora in vista delle prossime elezioni politiche? Pur con tutte le difficoltà dell'impresa, l'unica proposta seria è quella della Confederazione per la Liberazione Nazionale (CLN). Una proposta che potrà materializzarsi solo se scenderanno in campo migliaia di attivisti. Tutto da verificare, è ovvio. Ma almeno in questo caso una proposta chiara c'è, è quella di un'Italia Ribelle e Sovrana. Un'alternativa non solo elettorale, ma politica. Che guarda all'oggi ed ai passaggi decisivi di un domani assai vicino.
Chi non si arrende, chi vuol iniziare a ribellarsi, batta subito un colpo.
Preso da: http://ift.tt/2xBfG5f
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Il renzismo non avrà una seconda chance
DISCLAIMER: questo è un articolo serio.
O almeno ci prova
Dal 1992, in Italia, nessuna maggioranza di governo è stata mai riconfermata alle elezioni politiche.
E, se tre indizi fanno una prova, dopo le ultime tre tornate di elezioni sui territori (regionali 2015, comunali 2016, comunali 2017) possiamo riconoscere che l'insofferenza verso il governo targato PD sia montata sempre di più fino a diventare cronica. Quando perdi all'Aquila, dove per otto anni hai guidato la resistenza dopo il terremoto, quando perdi a Guidonia, una città-dormitorio alle porte della Roma di Virginia Raggi, è evidente che sei diventato “Il Male”.
Come osservava Flavia Perina in un suo recente articolo "la gente fa di tutto pur di non votare i democratici".
A meno di miracoli, perciò, possiamo prevedere che Renzi condividerà il destino di Berlusconi nel 1996 e nel 2006, della sinistra nel 2001 e nel 2008, di Monti nel 2013: la non riconferma per un secondo mandato.
Questo non significa necessariamente che il PD perderà le elezioni, e nemmeno che assisteremo a una netta vittoria di uno dei suoi sfidanti. Ci sono infatti almeno altri due scenari possibili. Il primo è che ritorneremo daccapo in un pantano come quello del febbraio 2013, il secondo è che il PD vincerà ma cambiando pelle, proposte e volti.
Perché in fondo è questo il principale vantaggio "evolutivo" che il PD ha sui suoi sfidanti: è un partito aperto e contendibile, e, qualora non si irrigidisca anch'esso in logiche di cooptazione dal sapore feudale ("ti daremo questa poltrona perché sei nel gruppo di un capetto che è nel gruppo di un capone"), può adattarsi facilmente alle nuove condizioni storiche che di anno in anno si presentano in Italia e nel mondo.
Insomma, se ci sarà una vittima sacrificale da scannare sull'altare, per riconciliare tra di loro i cittadini della polis, sarà solo la stagione di riforme liberaldemocratiche di Renzi, l'unica che l'Italia abbia mai conosciuto e forse l'unica che mai conoscerà.
Il mio giudizio su questa stagione, come molti di voi sanno, nel complesso è stato positivo. I rami della vita civile a cui tengo di più - cultura, istruzione, terzo settore - hanno ritrovato linfa nuova e abbondante. Ritengo il referendum 2016 più un'occasione persa che un pericolo sventato.
Ma l'idea che l'Italia vivesse una stagione di riforme liberali mi stuzzicava soprattutto per motivi di visione storica. Sulla scia dei testi classici del socialismo - specialmente Gramsci- sono convinto che un popolo addormentato non possa essere un popolo ribelle, e che un Paese debba tirar fuori le sue potenzialità imprenditoriali, competitive, tecnologiche, commerciali, infrastrutturali prima di ragionare sulla redistribuzione dei loro frutti (nel più blando dei casi) o sulla loro collettivizzazione (nel più estremo).
Avevo come l'impressione che l'Italia non fosse mai veramente passata dal sistema feudale al sistema borghese, e che, se anche c'era passata, piano piano stesse invertendo la rotta.
Non ne so molto di economia politica, ma immagino che un Paese con pressione fiscale soffocante, crescita sottozero e debiti alle stelle avrebbe fatto mettere le mani nei capelli al più volenteroso dei Keynes. Troppo spesso il nostro welfare, se c'è stato, è stato un welfare feudale, fatto di baby pensioni, posti di lavoro in cambio di voti, deroghe ai piani regolatori.
Inoltre si sa che le proteste proletarie, nel sistema feudale, si riducono ad essere quelle del Manzoni, che tra un assalto al Forno delle Grucce e una caccia all'untore fanno pena ai lettori e non risolvono un bel niente.
Ma quando parlo di potenzialità che non emergono, ne parlo anche e soprattutto a livello umano.
Ogni 10 iscritti all'università, 6 si pentono entro il primo anno di quello che hanno scelto. Io non mi preoccupo per i 15.000€ che lo Stato ha speso quell'anno per ciascuno di loro, ma mi preoccupo proprio per loro, per il loro smarrimento, per la loro fatica, per la loro insoddisfazione.
Ora, il governo può anche aver dato ai ragazzi qualche risorsa per farsi un'idea del mondo reale e dei propri desideri – servizio civile universale, alternanza scuola-lavoro, professori un po' più preparati - ma il problema si risolverà solo quando verrà meno l'ingerenza delle famiglie e del contesto sociale sulle scelte dei più giovani. Ossia quando da una mentalità familista, protettiva, paesana e chiusa (feudale) si passerà ad una mentalità più individualista, intraprendente, cosmopolita e aperta (borghese).
Un simile passaggio, però, non può avvenire in pochi anni. Avviene solo quando una persona percepisce, a livello di sistema, che nel mondo c'è un posto per lei e che ha una strada per raggiungerlo. Il che richiede una grande battaglia culturale, ma anche i piccoli, soliti, meschini aiutini liberali tipo meno tasse, più trasparenza e meno burocrazia.
"Certo, questo però può farlo anche la destra", si dirà. Verissimo. Peccato che la destra non l'abbia mai fatto, e in più abbia prodotto una serie di inconvenienti del tipo "la cultura non si mangia" (Tremonti), "meglio guardare le ragazze che essere gay" (Berlusconi) o "noi siamo la Padania bianca e cristiana" (Bossi)...parole a cui purtroppo sono seguiti dei fatti.
Insomma, non ci vuole una memoria di ferro per ricordarsi che in Italia la destra non è liberale, laddove la sinistra, almeno in parte, lo poteva diventare.
Così ho salutato con favore quello che è stato chiamato "il renzismo", e che all'inizio altro non era che il tentativo di dare cittadinanza alla liberaldemocrazia nel panorama politico italiano.
Tentativo favorito dalla reazione isterica della sinistra "bersaniana", che condannava a gran voce la nuova eresia. "Renzi vuole la flexsecurity!" accusavano, mentre approvavano la riforma Fornero, che era la flex e basta. "Renzi è per il capitalismo!" tuonavano, mentre facevano affari con Monte dei Paschi e liberalizzavano il gioco d'azzardo. "Renzi si incontra con Berlusconi!" inorridivano, mentre governavano con il Pdl. E in giro per le sezioni si sentiva sospirare: "Quanto è odiosa la politica di oggi, con il suo personalismo. Ah, se ci fosse ancora Berlinguer!"
Dopo quel periodo indubbiamente spassoso, il "renzismo" ha mostrato tutti i suoi limiti. Del tipo: l'avvilente pragmatismo all'inglese, per cui non esisterebbero gli ideali, ma solo il buonsenso. L'esclusione dei temi ambientali dal discorso pubblico. Le riforme che hanno fruttato solo nei terreni già arati, quindi al centro-nord e non al sud, nei centri città e non nelle periferie, tra gli adulti e non tra i giovani, inasprendo le diseguaglianze. Il ritardo nel crescere una nuova classe dirigente.
E dunque su una cosa ho dovuto ricredermi. In termini hegeliani, credevo che col "renzismo" saremmo arrivati alla sintesi fra la sinistra liberaldemocratica e quella socialista, mentre il "renzismo" era solo l'antitesi. Una singola fazione che ha preso il sopravvento, emarginando i rappresentanti delle altre come prima i rappresentanti delle altre emarginavano i suoi.
A questo punto, immaginavo che la missione dei prossimi anni, per chi si occupa di politica da sinistra, sarebbe stata proprio quella di raggiungere la sintesi. Di creare un'alternativa che "sollevasse e conservasse" gli aspetti migliori della stagione renziana (garantismo, patriottismo, interclassismo, valorizzazione delle eccellenze) affiancandoli a nuovi valori ancora più forti e più vitali (tutela dell'ambiente, riscossa demografica, lotta alla povertà).
Ma credevo che ci sarebbe stato più tempo a disposizione.
In pochi mesi purtroppo non si inventa un programma politico, la sintesi richiede riflessione.
Perciò lo ammetto: se alle elezioni 2018 il rischio sarà quello di rivedere al potere gente padana per cui guardare le ragazze è meglio che essere gay e la cultura non si mangia, e l'unico modo per evitarlo sarà metterci a gridare "Capitalismo merda!" da un Iphone che gronda sangue di operaie cinesi, mi turerò il naso e mi unirò al coro.
Ma confesso che il mio ideale sarebbe stato un altro.
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